Diffondiamo e diamo spazio anche noi dell’ Associazione Donne e Scienza a questo appello pubblicato sul Corriere della Sera sulla destinazione (proposta) dei soldi del Recovery Fund: un’importante occasione in cui alcune scienziate cercano di farsi sentire!
di Scienziate per la Società | 17 settembre 2020
È necessario fare finalmente scelte specifiche e programmatiche capaci di sviluppare creatività, talento e competitività. La grande occasione del Recovery Fund
Dopo i difficili mesi di lockdown ed elevati costi umani ed economici, il nostro governo si appresta a rilanciare il Paese programmando ingenti investimenti in settori strategici per il futuro sviluppo socioeconomico, grazie anche all’importante contributo europeo del Recovery Fund. Per realizzare questo obiettivo, e finalmente agganciare l’Italia ai Paesi più avanzati, sono necessari investimenti coraggiosi in settori competitivi, a partire dalla ricerca e dal suo sviluppo accademico e industriale.
La ricerca è universalmente riconosciuta come strumento di competitività e propedeutica allo sviluppo economico. Eppure il nostro Paese rimane il fanalino di coda. L’Italia spende in ricerca e innovazione soltanto l’1,4% del Pil (quattordicesima in Europa alla pari di Spagna e Grecia, Paesi con cui condivide un prolungato stallo economico). Germania, Danimarca e Austria, economie in costante crescita, spendono in ricerca più del doppio, il 3% del Pil. Gli scarsi investimenti nella ricerca hanno inficiato negli anni lo sviluppo tecnologico e la nascita di nuove imprese, responsabili della drammatica disoccupazione giovanile (in Italia del 31,4%, contro il 5,1% della Germania).
Eppure, la ricerca italiana è riconosciuta come una eccellenza internazionale. Non è un caso che in ambito biomedico, due dei cinque prodotti europei di terapia genica e cellulare avanzata, di cui l’Italia è capofila, siano nati dalla ricerca accademica italiana, con il supporto del non profit e industriale. E che ricercatori italiani siano ottavi al mondo per numero di articoli scientifici pubblicati e quinti per numero di citazioni (anno 2018). Il nostro tessuto sociale, educativo e culturale è quindi ben capace di produrre talenti. Talenti che però non riusciamo a trattenere. Il numero di ricercatori è bassissimo nel nostro Paese: 5,6 per 1.000 abitanti contro i 10,9 della Francia e i 9,7 della Germania. Carenze infrastrutturali, scarsi investimenti e remunerazione inadeguata limitano le opportunità di lavoro e di carriera, spingono giovani brillanti a cercare opportunità oltre confine e al tempo stesso impediscono il reclutamento internazionale. Un esempio eclatante: l’European Research Council (Erc), l’ente che seleziona e finanzia la ricerca d’eccellenza in Europa, ha premiato 53 giovani ricercatori e ricercatrici italiani su 436 partecipanti europei (secondi solo ai tedeschi con 102, e seguiti dai francesi con 37). Di questi 53, soltanto 20 realizzeranno i loro progetti di ricerca in Italia. Gli altri (la maggioranza), attratti da un migliore supporto organizzativo, economico e politico sosterranno lo sviluppo di Paesi vicini. Questa emorragia di talenti non solo impoverisce il Paese, ma ci rende meno competitivi.
Tutto ciò in un momento in cui l’importante investimento finanziario nel Recovery Fund sta costringendo l’Europa a tagliare alcune voci di spesa tra cui la ricerca, come recentemente denunciato dall’Embo Council (l’organizzazione intergovernativa finalizzata alla promozione della ricerca scientifica europea): una scelta che rischia di peggiorare ulteriormente la situazione.
Il presidente del Consiglio e il ministro Manfredi hanno recentemente usato parole importanti nel sostenere la criticità di investimenti strutturali, programmatici e continuativi in ricerca quale strumento di crescita per il Paese. Tuttavia, nel primo schema delle linee guida per il Recovery Plan italiano, presentato in occasione della riunione del Comitato interministeriale per gli Affari europei (Ciae) del 9 settembre, la ricerca è citata solo marginalmente, tra pur importanti progetti quali lotta all’abbandono scolastico, politiche mirate ad aumentare i laureati e cablaggio in fibra ottica delle università.
È invece necessario che il nostro Paese faccia scelte specifiche e programmatiche capaci di supportare creatività, talento e competitività dei nostri ricercatori e ricercatrici, eccellenze nazionali spesso non adeguatamente riconosciute.
Almeno quattro sono le aree di intervento: 1. Stanziare finanziamenti congrui e regolari per la ricerca fondamentale, che è il vero motore del progresso scientifico e che, pur non immediatamente collegabile ad applicazioni pratiche, ne pone imprescindibilmente le basi; 2. Definire piani di rientro per ricercatrici e ricercatori italiani vincitori di Erc; 3. Investire per potenziare una rete di infrastrutture di ricerca e centri di eccellenza; 4. Facilitare lo sviluppo delle start-up con finanziamenti sostanziosi per traghettarle al venture capital.
Secondo un’analisi di Ugo Amaldi, fisico del Cern, in Italia servirebbero 15 miliardi per raggiungere la Francia in cinque anni e 22 miliardi per raggiungere la Germania in sei anni. La strada è lunga ma il momento è adesso. Chiediamo ai nostri governanti di impegnarsi perché una parte congrua del Recovery Fund sia destinata alla ricerca. Le competenze, l’energia e la resilienza ci sono. Abbiamo una grande occasione, forse l’ultima, per cambiar rotta e rilanciare le Università e i Centri di ricerca. Non sprechiamola.
Anna Rubartelli, Paola Romagnani, Giulia Casorati, Maria Rescigno, Sara Gandini, Anna Mondino, Michela Matteoli, Francesca Fallarino, Valeria Poli, Rossella Marcucci, Michaela Luconi, Barbara Bottazzi
Il link all’articolo:
https://www.corriere.it/opinioni/20_settembre_17/svolta-sostenere-ricercatori-italiani-74b37044-f91a-11ea-b4b0-f49c5435d3f2.shtml