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Ricerca: donne discriminate nelle assunzioni

Se si entra in un dipartimento di fisica, biologia o chimica sarà più difficile trovare docenti donne che hanno raggiunto posizioni importanti, in rapporto agli scienziati uomini. E questo sebbene sempre più spesso le donne decidano di intraprendere una carriera accademica in ambito scientifico. Il motivo? Secondo uno studio dell’Università di Yale, pubblicato su Pnas, la spiegazione è semplice, è tutta questione di pregiudizio: a parità di competenze le donne vengono valutate come meno preparate solo per il fatto di non essere uomini. E per questo sono loro offerte meno opportunità di lavoro e con salari più bassi. Un pregiudizio che, spiega lo studio, vale per tutti i valutatori, maschi o femmine che siano.

Di fronte alla disparità di genere più che evidente in campo accademico le reazioni sono le più varie. Per esempio, qualcuno sostiene che le donne scelgano di più le discipline umanistiche a scapito della carriera scientifica. Peccato che poi le ordinarie siano comunque meno degli ordinari anche nelle facoltà umanistiche.

I più ottimisti, invece, sostengono che è solo questione di tempo perché le posizioni di ricerca anche di alto livello finiscano in mani femminili: le donne che si laureano in materie scientifiche sono sempre di più. Dunque perché non dovrebbero arrivare a occupare anche posizioni lavorative migliori, magari ruoli di leadership?

Eppure, sebbene da anni ormai anche in Italia le donne laureate in materie come chimica o biologia siano più degli uomini, quando si osserva il numero di ricercatori in ambito delle scienze matematiche fisiche e naturali la proporzione si inverte. E la disparità tra i sessi aumenta ancora di più se si parla di ruoli accademici come professore associato o ordinario (Istat, 2011).

Dato per scontato che non esistono differenze biologiche dovute al sesso nell’attitudine per la matematica o per altre scienze (ci sono studi che lo dimostrano), verificare se la disparità di trattamento dipenda da pregiudizi sulle donne è in realtà piuttosto semplice. Basta sottoporre curriculum di simile pregio a diversi valutatori incaricati di scegliere il candidato (o la candidata) migliore per un posto di lavoro, e vedere se la valutazione cambia in base al sesso. È quanto fatto appunto, per la prima volta in assoluto, dai ricercatori di Yale.

In particolare, il team ha chiesto a 127 docenti di biologia, chimica e fisica di valutare l’application di uno studente che fa richiesta di un posto come responsabile di laboratorio: tutti ricevevano uno stesso curriculum, di uno studente bravo sì, ma non tanto eccezionale da non poter essere scartato. L’unica differenza tra i documenti inviati consisteva nel genere della persona che faceva richiesta: in 64 casi il nome inserito era femminile, in 63 maschile. L’équipe si aspettava di osservare differenza a scapito delle ragazze sia in base al giudizio sulla competenza che sulla probabilità di ingaggio, nonché sull’eventuale stipendio proposto. Il tutto a prescindere dal fatto che il docente che valutava la candidatura fosse uomo o donna.

E il risultato dell’esperimento ha confermato le attese. Le donne risultavano agli occhi del docente meno brave e dunque meno ‘assumibili’ rispetto ai loro colleghi gemelli, ma di sesso maschile. I valutatori ritenevano inoltre in generale le candidate più ‘simpatiche’, ma preferivano non far loro da mentore. In una scala da uno a sette, la valutazione delle donne in ognuna delle caratteristiche (competenza, probabilità di ingaggio, possibilità di tutoraggio) era più bassa di almeno mezzo punto rispetto agli uomini, e gli stipendi loro proposti erano sostanzialmente più bassi rispetto a quelli offerti ai ragazzi (26.500$ contro 30.200$). Un risultato che non variava a seconda che a decidere l’assunzione fosse una donna o un uomo, una persona giovane o più anziana, titolare di una cattedra o meno.

Come se non bastasse, a ulteriore dimostrazione del pregiudizio, ai valutatori veniva chiesto di compilare un questionario le cui domande erano volte a scovare l’involontaria tendenza alla discriminazione. Il risultato del test ha evidenziato come più sottile era il pregiudizio, più alte erano le possibilità che le ragazze si vedessero preclusa l’assunzione o ricevessero proposte meno remunerative.

Alla luce di questi dati, la situazione di disparità sembrerebbe tutt’altro che temporanea e casuale. “Quello che preoccupa, è che le esperienze di pre-dottorato negative possano influire sulla decisione di se e quale specializzazione prendere”, scrivono gli autori nello studio. “Anche perché se le valutazioni che vengono loro date sono basate su precedenti pregiudizi, questo potrebbe anche voler dire che sono meno incoraggiate nella carriera accademica. E dati i termini della questione, non si può pensare che il problema si possa risolvere da solo con il tempo: servono politiche accademiche nuove, volte nello specifico a ridurre la disparità di genere”.

Riferimento: Pnas doi: 10.1073/pnas.1211286109

articolo tratto da Galileo

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